sabato 21 marzo 2009

domenica 15 giugno 2008

lunedì 9 giugno 2008

da La Repubblica

Politica educata e società incivile
di ILVO DIAMANTI


E' come assistere a due film diversi. A Roma e nel territorio. In Parlamento e nella società. E' già avvenuto in passato, di recriminare sul distacco fra il Palazzo e la Piazza, tra la politica e la società. Anzi è divenuto uno stereotipo contrapporre questi luoghi. Il Palazzo sordo, i politici attenti solo ai propri problemi e ai propri interessi. La Piazza in fermento e in ebollizione. La società: dinamica, aperta. Gli attori del mercato: capaci di marciare veloci, magari in modo disordinato e confuso. Ma nella stessa direzione. Verso una mèta comune. La politica, invece, stagnate e divisa. Lontana dalla piazza, dalla società e dal mercato. Due Italie incapaci di parlarsi. Comunisti e democristiani. Destra e sinistra. Berlusconiani e antiberlusconiani. Un Paese spezzato dalla politica. E, inoltre, dall'antipolitica. Oggi, quella rappresentazione si ripete, ma in modo speculare e simmetrico. Quasi a rovescio. I conflitti politici fanno poco rumore. Nei palazzi della politica gli scontri e le contrapposizioni sono echi lontani. Solo qualche discussione, perlopiù a voce bassa. Per fortuna. La rissa politica degli ultimi anni, ormai, ci dava disgusto. D'altronde, non si vedono motivi di contrapposizione. Mancano le cause scatenanti. In particolare: i numeri. Alla Camera come al Senato, i rapporti di forza lasciano pochi margini di incertezza. Il governo guidato da Berlusconi dispone di una maggioranza molto larga in entrambi i rami del Parlamento. Gli unici rischi che corre dipendono dalle possibili tensioni interne alla coalizione stessa. Fra PdL e Lega. E, nel PdL, tra i soci fondatori: FI e AN. Che, fino ad oggi, non hanno ancora celebrato riti di scioglimento e, successiva, confluenza nel nuovo soggetto politico unitario.
Tuttavia, non è solo un problema di numeri e di equilibri parlamentari. E' che - come si usa dire in questa fase - è "cambiato il clima" fra maggioranza e opposizione. Anche fra i leader, Berlusconi e Veltroni: c'è reciproca comprensione. Si parlano, dialogano. A volte, magari, discutono vivacemente. Ma non si insultano più. Danno l'impressione di ascoltarsi, comprendersi, rispettarsi. Qualcuno parla, perfino, in modo malevolo e un po' maligno, di "inciucio". Un governo "Veltrusconi", per usare il nuovo "mostro" tratteggiato da Giampaolo Pansa nel suo variopinto e pittoresco Bestiario. Il CaW, come ironizza - in modo bonario e complice - il Foglio, associando il Ca(Valiere) a W(alter). Difficile, d'altronde, accettare un confronto senza pregiudizi, senza fratture preventive, dopo decenni di divisioni senza mediazioni. In un Paese nel quale il sospetto è uno sport nazionale. E' cambiato il clima, dunque. In Parlamento e nei rapporti politici fra schieramenti, partiti, leader. E' diventato più tiepido. Quasi bello. Ma è cambiato anche fuori dal Palazzo. Nella società. Solo che, qui, è peggiorato. Si è deteriorato, drammatizzato. Incarognito. Lo "spirito animale" che in passato aveva pervaso e attraversato il mercato, le imprese, l'economia, generando innovazione e sviluppo - per quanto disordinato - oggi si è trasferito nei comportamenti sociali. Sul territorio. Dove sentimenti a lungo repressi esplodono, senza freni inibitori. Così si scatenano aggressioni a campi nomadi. Bruciati anche dopo essere stati evacuati. Così comitati cittadini - o sedicenti tali - si mobilitano contro la costruzione di villaggi destinati alla residenza di nomadi. Mentre monta l'ostilità nei confronti degli immigrati - soprattutto se irregolari oppure clandestini. Un sentimento magari comprensibile, ma nuovo per intensità. Contro un bersaglio che, invece, nuovo non è. Un fenomeno di lunga durata, difficile da definire. Visto che gran parte degli immigrati prima di diventare regolari hanno iniziato la loro carriera da clandestini. E molti diventano irregolari per i limiti improbabili posti da leggi velleitarie più che severe. In questo Paese, dove il clima politico si è improvvisamente intiepidito, quello sociale si è acceso. Arroventato da vampate improvvise. I risentimenti dei cittadini - e sedicenti tali - contro le istituzioni non accennano a stemperarsi, ma divengono sempre più violenti. L'antipolitica divampa. Mentre il rapporto fra i partiti si svolge su basi condivise, il Paese appare diviso. Le fratture territoriali si sono riaperte. La distanza fra Nord e Sud, non è mai apparsa tanto larga. Napoli: mai così lontana da Milano e Treviso. E viceversa. D'altronde, anche Roma si è stancata di recitare la parte della capitale. Basta con la favola del "caput mundi". Ma neppure "Italiae". Preferisce pensare a sé stessa; osservare e ascoltare i propri mali; curare le proprie ferite. Non in modo omeopatico, ma con terapie d'urto. In modo estremo. Se necessario: violento. Anche per questo i romani l'hanno fatta finita con il sorriso di Rutelli e il "volto umano" di Veltroni. Preferendo la maschera tagliente di Alemanno. Senza preoccuparsi troppo della sua passata passione fascista. Anzi... L'Italia di oggi. Educata, condivisa, moderata nella vita politica di Palazzo. Maleducata, divisa, estrema e violenta nella società e nel territorio. Quasi l'opposto di ieri. O forse: l'altro ieri. Non sappiamo se vi siano relazioni, fra queste due facce del Paese. Sempre simmetriche, dissociate. Ieri come oggi. Oggi come ieri. E' come se la società avesse assimilato il cattivo esempio della classe politica. E oggi non riuscisse a cambiare stile e comportamento. Al contrario: è come se le "buone maniere" dei leader politici istigassero i peggiori istinti sociali. Certo, magari è ancora presto. Bisogna lasciare al dialogo che avviene al Centro il tempo di propagarsi intorno, di contagiare la periferia. Il territorio e la società. Però, noi che siamo sempre insoddisfatti, impazienti "a prescindere". Noi che siamo incapaci di attendere che i processi storici facciano il loro corso. Noi, quando ci guardiamo attorno - e dimentichiamo cosa avveniva ieri. La nostalgia ci assale... (7 giugno 2008)

martedì 3 giugno 2008

risposta allo sfogo 5

Caro Alessandro,
io a volte sono troppo semplicistico, ma penso che tutti i ragionamenti e richiami sociologici antropologici economici che spaziano da Marx............... a Bossi Fini siano costruiti senza fondamenta qundi, come dici tu, paccottiglia, l'unico sistema è, e qui da destra a sinistra nessuno ne parla seriamente, senza avere scopi sottotraccia, la riforma della giustizia con all'art. 1 la certezza della pena.
In questo modo si può costruire un solido progetto che può sì, cambiare geometra ed estetitica, destrosa o sinistrosa che sia, ma sicuramente ha una certezza, delle fondamenta che possono reggere. Oggi i rumeni, domani i cinesi o chi per loro, ieri gli albanesi/kossovari, in un passato oramai quasi remoto i "terroni", una volta noi eravamo quelli da temere, ma come emigranti.
Non ti crucciare troppo, perchè vedrai che al compleanno della tua prole, quando sarà alla scuola materna, avrai tra gli invitati quasi sicuramente un Cin Ling, un Hammed, o una Badulesco, e sara più educata o più maleducata di noi a seconda della educazione che avrà ricevuto e noterai che chiederà di nascosto da mamma e papà il proscitto e tu o getterai la fesa di tacchino o la mangerai per una settimana di fila
ciao
mirco

venerdì 30 maggio 2008

risposta allo sfogo 4

Ho letto le vostre mail tempo fa e ora che ho un po' più di tempo vorrei dire due parole sul discorso sicurezza/immigrazione che Alessandro ha sollevato.
Io penso che quello che accomuna le persone di oggi sia il non aver capito cosa significa sicurezza... penso che la sicurezza venga sempre e ingiustamente messa in correlazione con l'immigrazione ma non è così a mio parere...
Mi spiego con una metafora. A noi a psicologia hanno insegnato a parlare con metafore quindi perdonatemi se vi può sembrare banale... considerate la sicurezza come una linea curva e l'immigrazione come un'altra linea curva... queste due linee essendo curve si possono intrecciare in qualche modo, in più modi e più volte... quindi anche per immigrazione e sicurezza è così... ma sono due curve distinte e non sovrepposte sempre... è questo la chiave principale... Tra le persone, anche pievesi... io denoto sempre più una forte ignoranza... ignoranza intesa come sostantivo di ignorare... non in senso dispregiativo. La sicurezza è sia una sensazione sia qualcosa di reale. L'immigrazione è solo realtà. E le due cose non coincidono.La sicurezza reale si fonda sulla matematica e riguarda le probabilità che si verifichino i possibili rischi e l’efficacia delle misure di protezione adottate. Possiamo infatti facilmente valutare quanto è sicura la nostra abitazione rispetto ai furti prendendo in considerazione fattori quali il tasso di criminalità del quartiere nel quale viviamo o la nostra abitudine di chiudere sempre a chiave la porta di casa. Possiamo anche calcolare con facilità la probabilità di essere assassinati in strada da uno sconosciuto o nella nostra abitazione da un familiare. Possiamo infine calcolare la probabilità di essere vittima di un furto d’identità. Dato un insieme abbastanza vasto di statistiche sugli atti criminali tutto ciò non è molto difficile: le compagnie assicuratrici lo fanno da tempo. Possiamo anche calcolare di quanto un antifurto può aumentare la sicurezza della nostra casa o in che modo il blocco del nostro conto bancario ci proteggerà dal furto d’identità. Ancora una volta: data una quantità sufficiente di informazioni ciò è facile. Ma la sicurezza è anche un modo di sentire, un feeling, che non si basa sulla probabilità e sui calcoli matematici ma sulle nostre reazioni psicologiche ai rischi ed alle misure di protezione. Si può essere terrorizzati dal terrorismo o viceversa non sentirsi in nessun modo minacciati da esso. In aeroporto ci si può sentire più sicuri vedendo che le scarpe dei passeggeri sono controllate dai metal detector oppure ciò può lasciare del tutto indifferenti. Ci si può considerare ad alto rischio per quanto riguarda i furti in appartamento, a medio rischio per quanto riguarda l’assassinio ed a basso rischio per il furto di identità. Ed il nostro vicino,nella stessa esatta situazione, potrebbe considerarsi ad alto rischio rispetto al furto di identità,a medio rischio rispetto ai furti in appartamento ed a basso rischio per l’assassinio.
Più in generale, si può essere al sicuro anche se non ci si sente al sicuro e viceversa sentirsi al sicuro anche se in realtà non lo si è. La percezione e l’effettiva sicurezza sono certamente correlate ma non coincidono e sarebbe probabilmente meglio avere due differenti termini per indicare tali situazioni differenti.
Gli esempi di prima li ho presi da un articolo di Psicologia Contemporanea di qualche mese fa. Non so, forse tutto ciò sono solo parole sulla sicurezza dettate dai miei studi etc, ma penso che ci sia poca informazione in generale su tutto ciò... penso che sia giusto lavorare in questo senso...e che si debba cercare di "acculturare" le persone per aver un modo più sano e discutere davvero su basi e conoscenze concrete e non fondato su preconcetti razziali.
Spero in qualche modo di aver dato il mio contributo "democratico" in questa discussione.

Ilaria

mercoledì 21 maggio 2008

risposta allo sfogo 3

Nel mio piccolo, sottoscrivo in pieno il rammarico del relatore pubblico Toni Muzi Falconi per quella che lui definisce la "fine della cesura socioculturale": "invece di quel che accade in altri Paesi, ove sono le elites culturali a impersonare valori, politiche e ambizioni che vengono poi civilmente assimilati e interpretati dal resto dei cittadini; in Italia sono state le elites ad adeguarsi ai valori e alle politiche più becere, impersonate e agite dalle frange più volgari e incolte: di destra come di sinistra, si intende" (articolo pubblicato in http://www.ferpi.it/).
Associata alla retorica del declino nazionale, la situazione è abbastanza deprimente e circoloviziosamente pericolosa.
Sentiamo infatti sempre più ossessivamente dire che siamo un paese allo sbando, economicamente, culturalmente, ecceteralmente...
Ma se ogni tanto noi italians ci prendessimo le nostre responsabilità? Ma se soprattutto ci rendessimo conto che il cambiamento si mette in pratica e non si subisce solamente?
Io ho l'idea che l'Italia possa e debba diventare un paese Cosmopolita; è una riflessione che da geografo mi porto dietro da tempo in considerazione del passato di questa penisola, dei suoi Comuni, delle sue realtà territoriali; abbiamo nel DNA una diversità di popoli, culture, lingue, gastronomie, che insieme rappresentano l'Italia. Sono una ricchezza multiculturale che ha accentuato negli ultimi anni sempre maggiori differenze: tanto che tutti oggi riconoscono che siamo più Italie.
Ecco allora che dobbiamo cercare qualcosa che non sia un minimo comune denominatore al ribasso (l'Altro, il nemico, per ritrovare/creare una fittizia identità); ma una sorta di massimo comune integratore. Per me si tratta di una visione globale, cosmopolita e multiculturale che ha poi ricadute materiali sulla professione, sul nostro modo di agire, sui mercati e i pubblici da raggiungere.
Io riparto da lì. Anzi da qui.

Biagio

(tratto da http://www.pranista.com/)

risposta allo sfogo 2

Innazitutto ringrazio Alessandro per aver animato il blog con una dibattito su un tema oggi fondamentale e su tutte le cronache.
Chiaramente la mia posizione è leggermente diversa da quella di Alessandro.
Parto da alcune frase di un libro che un po’ di tempo fa mi è stato regalato. Si intitola “Ma come sono gli italiani?” e l’autore è Jivis Tegno un giornalista indipendente arrivato in Italia nel 1992. Nel capitolo sugli immigrati (così è stato intitolato) dice: “per venire in Italia spesso gli uomini e le donne straniere, oltre ad utilizzare tutti i propri denari, ricorrono a collette in famiglia o dei prestiti che si vanno ad aggiungere alla somma che, quando possibile, viene inviata da un fratello o da un parente già sistemato in Italia”; “Una volta arrivati in Italia, molti extracomunitari si rendono conto che la nazione non è fatta per loro: nella maggior parte dei casi vengono completamente esclusi dalla società e di conseguenza anche loro non sentono l’esigenza o il desiderio di integrarsi”; “la necessità di abitare in tanti in alloggi piccoli deriva dal prezzo elevato degli affitti delle abitazioni e dalle basse retribuzioni che i datori di lavoro italiani danno”; “più di una volta mi è successo che, mentre ero con i miei amici, in piazza o al mercato o ad una fermata dell’autobus o tra la folla, sia poliziotti che carabinieri ci hanno chiesto documenti mentre raramente ho visto la stessa scena verso italiani”.

Cosa ce ne importa, molti diranno.., se poi noi lavoriamo fino a sera per pagare le rette dell’asilo per i nostri figli? Cosa ce ne importa se poi non possiamo permetterci una casa dignitosa se non accedendovi grazie a cospicui contributi famigliari (per chi se lo può permettere!) o a mutui che difficilmente sono accessibili e “gestibili” per i giovani? Cosa ce ne importa se poi molti atti criminali vedono coinvolti gli immigrati e le nostre città “sembrano-sono” meno sicure?
La mia passione politica, per uno schieramento preciso (che per fortuna si sta radicalmente modernizzando), deriva dall’aver condiviso fin dall’adolescenza alcuni principi che il centro-sinistra promuoveva-ve e che ne hanno generato la nascita stessa fra la fine dell’’800, inizi del ‘900. Mi pare utile in questo dibattito riprenderne almeno 2 e applicarli alla modernità globalizzata:

UGUAGLIANZA: Engels disse che “"E così la diseguaglianza si muta a sua volta in eguaglianza, non però nell'antica eguaglianza naturale degli uomini primitivi privi di linguaggio, ma in quella più elevata del contratto sociale. Gli oppressori vengono oppressi. È negazione della negazione". Poi l'art. 3 della Costituzione afferma che Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,... aggiungendo poi È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...
Se un cittadino straniero vive e lavora regolarmente nel nostro paese, generalmente a basso costo per il datore di lavoro, e paga regolarmente le tasse, perché non dovrebbe avere gli stessi diritti e doveri degli “autoctoni”, magari sulla base di un contratto sociale che può firmare o di cui può essere pubblicamente investito (guardate cosa fa in tal senso il Canada!!)?
Il vero tema oggi in Italia, che la politica non enfatizza a dovere, credo sia la certezza del diritto e della pena. Quest’ultima in particolare dovrebbe colpire tutti coloro, italiani e stranieri, che commettono dei reati. Purtroppo la comunicazione berlusconiana di questi anni ci ha insegnato che la giustizia si può raggirare e comunque la detenzione spesso non è commisurata alla pena. Oltre al diritto dove è finito il meccanismo collettivo delle sanzioni sociali? Perché oggi si ha paura di andare dall’amministrazione, dalle forze dell’ordine (nel rispetto dei ruoli e dei compiti che devono essere chiari e conosciuti) a sottolineare un possibile problema di criminalità, sia essa micro o macro? Perché se a Pieve ci sono delle situazioni sospette non vengono poste a chi di dovere? Perché altre situazioni (come ciò che avviene al Parco l’Isola che non c’è) passano innoservate da parte di chi di dovere? Credo che questi temi debbano essere comunicati e che sia ora che la nostra generazione si impegni seriamente a superare alcuni meccanismi della politica-giustizia-economia che sono irrigiditi, stagnanti e che hanno bisogno di una vera e propria “nuova stagione” per essere anche solo incrinati.

ATTENZIONE VERSO I Più DEBOLI: questo concetto, tanto caro alla cultura cattolica, necessita di essere recuperato e promosso. Una nuova cultura che consideri con attenzione i più deboli, non solo stranieri, può essere perseguita sia attraverso i simboli e la comunicazioni ma anche attraverso impegni concreti. Credo che l’attenzione verso i più deboli (la solidarietà) non sia da intendersi solo in termini di aiuti monetari e non ma anche come opportunità di crescita collettiva delle persone con le quali viviamo quotidianamente. Perché per televisione o nei nostri territori tendiamo a valorizzare esempi e gesti di chi già è affermato? Perché le azioni e i successi di chi già ha sembrano più importanti di altri? Vi assicuro che Venerdì scorso, alla cena marocchina organizzata a Renazzo, l’emozione più grande è stata osservare gli sguardi felici delle donne che, dopo aver preparato per ore la cena, sono state ringraziate da tutti i commensali. Per non parlare dei volti e sorrisi dei bambini stranieri che correvano e parlavano con noi. Bè credo proprio che la serata sia stata più bella e ricca di un qualsiasi programma su Sky o che da Flemming (e anche molto gustosa!).
Per quanto riguarda gli impegni concreti non vi è dubbio che una nuova cultura per esempio del rispetto dell’ambiente debba partire da noi prima che dagli stranieri… che prevedere più alloggi di edilizia convenzionata (per giovani e anziani) nei futuri sviluppi urbanistici sia un compito-dovere delle amministrazioni pubbliche.. così come per i datori di lavori un impegno a “sfruttare” meno per migliorare invece la qualità di vita e le opportunità dei propri dipendenti!!!
Come dice Giddens nel suo ultimo libro (peraltro meraviglioso) “l’Europa nell’età globale”, “la solidarietà sociale è l’integrazione di una società in rete, dai confini porosi, in cui la cittadinanza positiva dà vita ad un insieme efficace di obblighi sociali e ad una cultura ben precisa di rispetto nei confronti degli altri, rispetto che va dagli incontri nella vita di tutti i giorni fino ai rapporti astratti con culture remote”

Scusate lo sfogo, ma ho colto l’occasione per dire alcune cose che penso!!! Credo che SI Può FARE….e comunque sono convinto che siamo noi come Paese (il numero dell’Internazionale che citava la Laura merita in questo senso), come persone, come giovani, a dover evitare di toccare il fondo.