lunedì 19 maggio 2008

Sfogo

"Un bel giorno nel tuo dipartimento arriva un nuovo professore che sostiene che il raffreddore è socialmente costruito. Il giorno dopo, un altro collega dice che tutto, nel mondo fisico e nel mondo sociale, è costruito e motivato da scopi politici il più delle volte inconfessabili. Di qui a sostenere che la scienza e l'oggettività sono semplici forme di violenza il passo è breve e, quando pure la cosa in teoria possa preoccuparci poco, il pratica dovremo rassegnarci a frasi come "Lei se ne approfitta perchè ha ragione", o, magari "Lei ha ragione, dunque ha torto". (M. Ferraris, Scivoloni multiculturali, in Domenica-Il Sole24Ore 18/5/08)

Di fronte a casa nostra da qualche mese abita un numero imprecisato di persone. In un condominio ormai fatiscente - in un centro storico che è si un "gioiellino", punteggiato qua e là di emergenze anche pregevoli come l'attiguo palazzo duecentesco nella piazzetta delle catene, o la piazza stessa, ma nel contempo tristemente abbandonato a se stesso - dove fino a poco tempo vivevano alcune famiglie di meridionali di recente immigrazione, si è stabilita questa colonia di individui (singoli) di provenienza (se la gratuità di questa deduzione non suona violenta) nordafricana.
Questa sera sono uscito per fare una corsetta e per strada "c'erano solo loro". Da PaneVino, sotto i portici, ovunque. Solo loro. Di locali nemmeno l'ombra, tutti - come me fino a pochi minuti prima - rintanati nel proprio bozzolo, con i piedi ben piantati nelle pantofole davanti a un rassicurante pomeriggio di Sky fatto di Sfide Scudetto e altre amenità. Loro invece fuori, per le strade, increduli di avere uno spazio pubblico tutto per loro, e di non dover fare nemmeno la fatica di dover interagire con chi quelle strade le ha abitate da ben prima.
Anche io sono immigrato. Da vicino, è vero, ma lo sono, oggettivamente, simbolicamente. Ho scelto di venire a Pieve anche per sperimentare su di me - ogni giorno - una piccola dose di sradicamento. Per poter conoscere più realtà, per arricchire me e gli altri di nuove relazioni. Sono immigrato perchè ho scelto. Con tutta evidenza si è trattato di una scelta dai rischi molto contenuti, ma che voglio rivendicare con forza. Ma, forse complice il recente cambio di statu sociale che mi ha interessato - sono diventato padre - quell'insicurezza di cui tanto mi sono riempito la bocca oggi mi interessa in prima persona.
Aldo Bonomi ama citare Simone Weil e il suo famoso "chi è sradicato sradica". Ed è un problema che ci riguarda tutti. Ma che riguarda ancor più quanti - lontani da casa, senza lavoro, senza famiglia - le radici le hanno perse davvero. La mia preoccupazione nasce dal vedere che persone che abitano con me - di fatto - con la loro "nuda vita", con la brutale banalità della loro sola presenza (della serie: non è mica mai successo niente) non possono - o non devono - vedere il loro abitare vincolato a regole, a dispositivi di cittadinanza precisi: un lavoro, una sistemazione decorosa, una posizione fiscale... non è la "diversità" che spaventa, ma l'eccentricità rispetto a questo. L'esistenza stessa dello Stato di diritto si fonda su un patto tra persone, che devono essere messe nelle condizioni di rispettarlo.
Ora, mi si dirà, è tutta una questione di percezione. Sei diventato padre, sai com'è, e allora... E qua vengo al tema politico della questione. La dittatura del relativismo (davanti a casa tua non c'è una situazione di palese irregolarità, te la immagini...) Come vedete ho riportato Ferraris in apertura, non certo Ratzinger. Una certa sinistra - ma anche tanto centrosinistra, e anche tanti democratici - hanno implicitamente sempre fatto ricorso alle armi della propria presunta "capacità di lettura" della società per rivendicare la propria supremazia culturale. D'altronde chi, se non Hegel-Marx hanno - in termini teoretici - descritto in una "grande narrazione" la società? Una grande sociologia sopra di noi, in grado di costituire il ponte tra realtà e intervento pubblico (di policy) su questa realtà. Una grande lettura della società incapace - nei fatti - di rispondere ai problemi percepiti come importanti (non esistono i problemi "in natura", acquistabili a peso: gli unici problemi sono quelli che "la gente" avverte come tali).
Ora, non so se tutta questa pappardella sia appropriata - o anche solo applicabile - al caso pievese. Resta la mia preoccupazione personale, il mio timore che - persone sradicate e sostanzialmente abbandonate da tutti: dico ma checcazzo, anche una visita dei Carabinieri li farebbe sentire meno soli...) - decidano di radicarsi addosso a mia moglie, a mio figlio. Ve lo giuro: mai avrei pensato di arrivare a fare questi discorsi. Dico solo che, a un anno scarso dalle elezioni, occorre stare molto ma molto attenti. Vari casi - su tutti il recente di Roma - hanno dimostrato che nessuna "piazza" è certa e scontata per sempre. Se ci fossero oggi le elezioni a Pieve (lasciate stare dati e serie storiche), e se la destra riuscisse ad espriemere un candidato appena appena decente, si perderebbe. Non ci sono santi. Allora io dico apriamo tutti i cantieri che vi pare, facciamo pure i forum, ma scriviamo un programma decente finalmente svuotato di tutta la solita paccottiglia: partecipazione, ad esempio. E' ora di finirla. Facciamo un programma dove scendiamo di qualche gradino (facciamo uno sforzo) verso la gente, e tentiamo di dare risposte serie ai problemi avvertiti come tali (ottimi alcuni ragionamenti fatti per esempio dalla Laura recentemente, avremo modo di parlarne). E' tempo di una politica non populista, ma finalmente davvero popolare.

Alessandro

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